Solitamente non so mai come gestire le recensioni in questo caso perché se ne avessi il tempo, dedicherei un articolo del blog per ogni storia. Anche se alcune sono di pochissime pagine, mi hanno dato tanto da pensare e finirei forse per scrivere una cosa più luna del racconto stesso.
Difficoltà a parte, tenterò di fare del mio meglio per parlare di cosa mi ha lasciato tutto questo.
Prima però mi sento di fare un disclaimer: si parlerà di suicidio, di drammi familiari pesanti, di abusi e speranze infrante. Non leggete la recensione se credete che questi temi possano urtare in qualche modo la vostra sensibilità.
Titolo: Sospesi sul nulla
Autore: Filippo Mammoli
Editore: Dark Zone Edizioni
Data di pubblicazione: 26 giugno 2020
Pagine: 120
Prezzo: 14,90 (cartaceo) e 2,99 (kindle)
Trama: Quindici racconti ambientati ai nostri giorni, quindici storie dove la vita, con le sue pulsioni più elementari e i suoi sentimenti più genuini, si scontra con muri invalicabili. In una baraccopoli indiana come nel lussuoso studio di un avvocato, in un letto d’ospedale o nel cortile di un manicomio, in una Firenze agghindata per la vigilia di Natale o in paesi del meridione d’Italia dove anche sognare è impossibile, il grido di dolore per le assurdità e le ingiustizie si leva prepotente e inconsolabile in questa suggestiva e sensibile raccolta. Emergono così vivide istantanee a ricordare le gabbie e le angosce, ma anche il desiderio d’amore e di libertà che caratterizza l’esistenza dell’uomo del nostro tempo, senza alcuna possibilità di sciogliere il «nodo gordiano» della contraddizione. Sogni, visioni, paure e ansie da psicanalisi raccontano un’umanità lanciata a folle velocità verso l’abisso, fotografata un istante prima del punto di non ritorno.
Non so come classificare esattamente tutto questo: horror? Thriller? O magari semplicemente horror psicologico? Non lo so. Quel che è certo è che l'autore ha raccontato di emozioni estremamente verosimili. Parla di problemi che affliggono la società senza peli sulla lingua e con una bravura fuori dagli schemi.
Filippo Mammoli è riuscito a immedesimarsi negli oppressi che ogni giorno si scontrano con i vincenti del nostro mondo e puntualmente falliscono. Non c'è una rivalsa da parte dei personaggi perché non hanno scampo nemmeno dai loro stessi sentimenti.
Non esiste una luce vera e propria alla fine del tunnel e se c'è, è solo l'illusione che la morte gli dona prima di portare via donne e uomini che hanno lottato e poco dopo mollato la presa.
La vita è crudele e gioca brutti scherzi. Testimone ne è Valentina, che dopo anni e anni ritrova colui che ha abusato di lei addirittura in un altro stato.
Gli eventi hanno travolto tutti in modo diverso e ognuno ha cercato di arrancare verso quella luce nefasta solo per ottenere il nulla assoluto.
È stata una lettura forte, che mi ha dato tanti spunti di riflessione e che mi ha aperto gli occhi. Non sono sicura di averne carpito del tutto l'essenza per via della mia giovane età, però sono ugualmente contenta di aver avuto l'occasione di confrontarsi con una realtà che potevo solo lontanamente immaginare.
Finalmente un autore ha preso in mano storie di vita che vengono accuratamente nascoste agli occhi della società e le ha portate agli occhi dei lettori.
"Suo padre aveva sempre cercato di scuoterla per prepararla a nuotare da sola nell’oceano popolato di squali e barracuda, urlandole contro e umiliandola in tutti i modi."
Ci sono stati un paio di personaggi che mi sono piaciuti di più perché secondo me la disperazione li accomunava a quello che provo spesso anche io. Li ho sentiti più vicini a me, anche se sono conscia di vivere in una condizione migliore rispetto a loro.
Lucia, una donna tossicodipendente, rimane incinta e si ritrova a essere un reietto della società. La gente le lancia sguardi schifati quando le passa accanto, le madri invitano i loro bambini ad allontanarsi e i negozianti la buttano fuori dal loro locale poiché sono certi che allontanerebbe la clientela. Poco importa se lei ha un pancione con una creaturina innocente all'interno perché per ai loro occhi Lucia è mostruosa. Non è più umana: come può esserlo una donna disperata che ha perso tutto da un giorno all'altro? O meglio, quelle persone preferiscono pensare così piuttosto che rendersi conto di avere a che fare con una persona che prova emozioni e che soffre esattamente come loro.
Di questo racconto mi ha attirato molto un tema che mi sta molto a cuore: l'abbandono dei figli. Io sono del parere che se un genitore non è in grado di essere tale e non ha tutti gli strumenti per garantire una vita dignitosa a suo figlio, è meglio lasciarlo ad altri nella speranza che lui o lei possa vivere serenamente. Perché trascinare sul fondo anche una nuova vita che non c'entra niente con il mondo crudele in cui i genitori vivono?
Forse Lucia sapeva che sua figlia non avrebbe avuto un futuro con lei che non riusciva a superare la tossicodipendenza e la delusione amorosa che Gianluca le aveva procurato.
Lei era un'anima fragile in mezzo a un branco di squali ed è stata divorata.
"Se continui a studiare potrai diventare al massimo una cicciona di cultura, ma mai una vera donna."
Ursula, un'altra ragazza ancora, ha spiccato il volo. È diventata una farfalla per scappare alle catene della madre. È andata a cercare l'unico modo che l'avrebbe resa libera.
La donna, insoddisfatta della sua giovinezza, ha scaricato addosso tutto il peso sulla figlia e non ha fatto altro che rimproverarla per ogni minimo pezzetto di cibo che mangiava. Ursula, negli anni in cui si è molto influenzabili, inizia a soffrire di anoressia.
Un commento dopo l'altro ha tolto a lei la voglia di assaporare anche la frutta che di per sé non fa assolutamente male al fisico. E mi sento di capirla perché anche io ho vissuto un'esperienza simile. Credo di essere stata forte perché ho avuto la capacità di ignorare e vivere la mia vita come meglio credevo, senza i desideri mancati di altri o i canoni di bellezza di genitori che reputano qualche rotolino in più un dramma.
Ursula aveva le sue ali, con le quali ha trovato una via diversa per scappare.
"Qualcosa la stava trattenendo. Un cappio stringeva le sue nuove appendici rischiando di strapparle. All’altra estremità della corda c’era la madre, appesa a ?uell’enorme guinzaglio con entrambe le mani. La tirava a sé, come aveva sempre cercato di fare."
Come ultimo personaggio di cui mi sento di parlare, anche se ce ne sarebbero molti altri, è Stefano.
Lui non è un reietto, non è uno dei topi che Banksy adora disegnare sui muri. Lui è a capo di un'impresa e la dirige anche abbastanza bene. Qual è il problema? Aveva paura di deludere le aspettative. Sì, ma di chi? Le sue.
Forse non gli importava poi così tanto del pensiero altrui perché pretendeva unicamente da se stesso e alimentava da loro le aspettative.
"Sarò all'altezza?"
E lo è stato alla fine?
Non lo so. Quel che è certo è che mi ci sono ritrovata nelle sue condizioni e ho apprezzato tanto la chiarezza con cui i pensieri di Stefano sono stati descritti.
⭐⭐⭐⭐⭐/5
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