giovedì 18 marzo 2021

Un Ago Simile (recensione)

Se fate una semplice ricerca su google, inserendo nel motore di ricerca "condizioni dei detenuti" troverete di tutto e di più. I titoli che saltano più all'occhio, però, riguardano il sovraffollamento e il suicidio. Si parla di celle minuscole che ospitano quattro o cinque persone e con lo scoppiare della pandemia questo non può essere di certo una cosa positiva. 
Si parla anche di spazi di punizione in cui non è presente nemmeno una brandina per riposarsi, o delle condizioni igieniche scarse, o ancora dell'umiliazione che i detenuti devono subire ogni giorno. Da questo ho tratto un unico pensiero: chi commette un crimine non è più un uomo, ma una bestia considerata fuori controllo e che per la maggior parte dei casi nessuno ha voglia di "addomesticare". Perché è di questo che si parla: di mostri che non meritano di essere rieducati per rientrare nella società. Si parla di un detenuto alla stregua di un fenomeno da baraccone. 
Non c'è umanità nel parlare di persone che hanno commesso un errore e che hanno bisogno di mezzi per rimediare.
Perché non si parla mai di emozioni? Perché bisogna vedere tutto esclusivamente da un punto di vista giuridico? Perché se ci sono di mezzo le emozioni, si viene coinvolti troppo. Dobbiamo essere capaci di metterci nei panni di chiunque, anche se è un detenuto. 

Un po' di tempo fa ho partecipato a un convegno in cui si trattava esattamente di questo argomento. I volontari delle carceri femminili mi hanno mostrato una raccolta di lettere scritte dalle donne in cui mettevano a nudo tutte le loro emozioni per far arrivare a persone come me un messaggio: la libertà è preziosa, ma ce ne rendiamo conto quando è troppo tardi. Le azioni quotidiane che a noi sembrano banali, a loro mancavano più di ogni altra cosa. E io ho provato a capirci qualcosa, a dispiacermi anche, ma non ci sono riuscita nemmeno un po'. In quello stesso periodo mio padre era in carcere per scontare la sua pena e con quell'incontro volevo sapere come se la cavasse dato che nessuno voleva dirmi niente. Volevo sapere se davvero i detenuti vivevano nel lusso sfrenato come si dice o se riversavano nelle stesse condizioni degli schiavi di Gleba. Volevo capire se davvero ci fosse stato un processo di riabilitazione per mio padre. Poi a un tratto è uscito e ho capito che non era cambiato niente. Non aveva capito i suoi errori né aveva cercato di scusarsi. Niente. 
Potete immaginare la mia rabbia nel sapere che è uscito dopo un anno quando io avevo passato un inferno durato dodici? Forse se mio padre fosse stato aiutato in carcere ora sarebbe una persona migliore. Nessuno ha creduto in lui o ha avuto voglia di dargli quel supporto di cui necessitava e magari un giorno tornerà a ricattare e violentare le donne che entreranno nella sua vita.

E niente, ragazzuoli, ho colto l'occasione di questa recensione per togliermi un peso che mi portavo da un po' e non riuscivo a liberarmene.
Il libro di cui vi voglio parlare tratta proprio di detenuti e dei loro diritti. È una storia che mi ha catturata sin dalla copertina. Ho letto la mail che la CE (che ringrazio per la copia digitale) mi ha inviato e ho detto "questo lo devo assolutamente leggere". Proseguendo con la lettura vera e propria ho preso a cuore questo romanzo e mi ci sono affezionata davvero tanto. Davvero, non credo di aver mai letto un romance così significativo.


Data di pubblicazione: 11 febbraio 2021

Editore: Royal Book Edizioni

Prezzo: 15,00 (cartaceo) e 2,99 (ebook)

Trama: Luigi e Marisol Porzi sono simili, ma non uguali.Nelle loro vene scorre lo stesso sangue e insieme sostengono il peso di un cognome che in quel di Colmite, il paesino in cui vivono, è garanzia di guai. Ma la vera affinità che li lega è cucita lungo le battaglie che combattono in virtù di un solo credo: la tutela dei diritti dei detenuti. Dalla cella del Gebella in cui è recluso, Luigi sceglie la via della rivendicazione; mentre sulle pagine del Gazzettino di Colmite sua nipote conduce inchieste per portare allo scoperto le malefatte del direttore dell’istituto di pena.Proprio a causa dell’ennesimo sopruso, le loro vite, prima inscindibili, si separano per sempre. A unirle ancora al di là del tempo e dello spazio, però, resta il sottile filo che gira attorno alle colpe di entrambi fino a imbastire la pelle di Marisol. E tira, si fa sentire, dal giorno del suo primo incontro con Abel, un giovane architetto finito dietro le sbarre per scontare gli errori della sua famiglia e uscito dal Gebella con la sola aspirazione di consegnare un messaggio alla nipote di Luigi Porzi. Entra nella serratura della fortezza in cui i due ragazzi hanno rinchiuso il passato e nelle loro mani diventa lo strumento con cui suturare le ferite dell’altro.Quel filo, poi, si trasforma nell’unico canale di comunicazione tra gli abitanti del penitenziario e il resto della società; e passando attraverso le crune di aghi simili tenta di rappezzare il futuro di Marisol e di Abel con il logo del sogno di Luigi: un quotidiano di informazione dal e sul carcere redatto dai detenuti.

-♤-

Il libro parte con due punti di vista: quello di Marisol e quello di Abel, rispettivamente una donna che lotta per i diritti dei detenuti e un detenuto del Gebella, il carcere di Colmite.
È ambientato in un piccolo paese italiano in cui i più anziani reputano più facile andare in carcere piuttosto che lavorare e mantenersi da soli. C'è chi di questa frase ne ha fatta una filosofia di vita, che si insinua facilmente anche nella testa di Gil, il fratello di Abel. La storia dei due fratelli è fatta di alti e bassi, tant'è che l'autrice fa un paragone biblico molto curioso: Caino che uccide Abele come Gil fa incarcerare suo fratello Abel. 
Non è sufficiente a convincervi? Aggiungetevi una donna forte, con ideali ancor più forti, che lotta per il nonno. Per gran parte della sua vita, Luigi è stato la stella polare di Marisol, anche se lui era dietro le sbarre e Marisol libera di vivere come più le piaceva. Alla morte del nonno, però, la protagonista mette in dubbio tutto: le sue passioni, le sue convinzioni, i suoi obbiettivi. Si chiude in se stessa e vive un periodo di confusione in cui smette di dedicarsi al giornalismo e passa a fare la correttrice di bozze. 
Con il suo pov, ci immergiamo nei panni di qualcuno che cerca di risorgere dalle sue ceneri e che prova a capire cosa vuole veramente dalla vita. Vuole capire se lotta per se stessa o solamente per suo nonno e vuole sapere se ne vale la pena riprendere il percorso che ha interrotto con la morte di Luigi o se deve ripiegare su un altro ambito.
Ed è anche grazie alla comparsa di Abel nella sua vita che lei riesce a tornare in carreggiata. Diciamo che si sono salvati a vicenda in un modo o nell'altro. In questo modo, l'autrice intreccia una storia fatta di battaglie contro le ingiustizie a una storia d'amore che mi ha fatto emozionare sin dai primi accenni. 
D'altronde, è impossibile non affezionarsi al ragazzo dagli occhi grigio cadetto e alla Marisol affettuosa e maldestra che alla fine sboccia in un magnifico fiore. 

Lo stile dell'autrice alleggerisce il libro che porta con sé tematiche importanti. Ho amato tantissimo le canzoni inserite nei momenti imbarazzanti in macchina e il canticchiare di Marisol. Una piccola menzione la devo fare anche per quei due personaggi fantastici di Amir e Stefano: il primo mi ha fatto morire dal ridere con la sua simpatia e l'amore verso i sinonimi, il secondo per la storia che l'ha portato in carcere. In particolare il nome di quest'ultimo ha attirato la mia attenzione e quando ho visto il contesto, l'ho associato immediatamente a Cucchi, un ragazzo la cui storia ho preso a cuore e che, se la conoscete, non è facile scordare. 

Complessivamente, troverete un libro che vi strapperà un sorriso per la sua dolcezza e le battute dei personaggi. È sì un libro riflessivo, ma è perfetto nel caso vogliate staccare un po' dalla realtà e rilassarvi. Lo consiglio a tutti? Sì, assolutamente. Credo sia un libro da leggere almeno una volta nella vita indipendentemente dal genere che voi leggete.

-♤-

Come avrete notato, non leggo molti romance perché non mi sono mai sentita rappresentata dal genere. Ho finalmente trovato una spiegazione. Non è che non mi piacciano, semplicemente per la mia maturità non mi ritrovo negli amori adolescenziali tra i banchi di scuola o nelle cose che si avvicinano ad After. Ho scoperto che prediligo una love story da un punto di vista di un adulto e che riflette la realtà. 

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